2 dicembre 2014

Affrontare il chemical management

I suggerimenti di 4sustainability ai brand e alle aziende della filiera per gestire rischi e controlli

Il 27 novembre si è tenuto a Firenze il seminario Dress code: sostenibilità. La gestione e il controllo delle sostanze chimiche per i brand e la filiera. A organizzarlo, con il patrocinio di CNA e Confindustria Firenze, due realtà leader del settore come Process Factory e Brachi, attraverso il network 4sustainability creato un anno fa proprio per supportare le aziende nel loro percorso verso la sostenibilità con metodo e competenze specialistiche.
A giudicare dalla partecipazione qualificata all’evento, questo approccio improntato alla concretezza sembra riscuotere diffusi consensi,tanto più su un tema sentito come il chemical management sul quale i dibattiti accademici lasciano il tempo che trovano. Servono indicazioni utili, tanto ai brand quanto alle aziende della filiera, che più lentamente, forse, ma si stanno muovendo per restare competitive.

«Sostenibilità, brand reputation e competitività sono in relazione strettissima fra loro», ha detto in apertura di lavori Giulio Lombardo, direttore commerciale e marketing di Brachi, che ha voluto sottolineare la specificità di 4sustainability rispetto ad altri operatori proiettati a trasformare in business un tema evidentemente attuale. «È un processo spontaneo, come spontanea è la selezione che si crea quando il mercato fa giustizia fra competenze vere e presunte. Con 4sustainability abbiamo puntato da subito a distinguerci, investendo sul know how di Brachi a livello di prodotto e l’esperienza di Process Factory a livello di processi. E risultando proprio per questo credibili».

Francesca Rulli, project e sustainability manager di Process Factory, è toccato il non facile compito di inquadrare la materia a beneficio di chi, fra le aziende, ha capito che è giunto il tempo di agire ma non sa ancora bene come, in quale direzione e attraverso quali step. «Sostenibile, per definizione, è tutto ciò che è fatto per durare nel tempo, generando valore di tipo sociale, ambientale e, naturalmente, economico». Cosa fanno i brand? «Alcuni – ha spiegato la Rulli – si limitano a porre degli out out ai propri fornitori: al primo “sgarro” arriva il richiamo, al secondo l’estromissione dal giro che conta. I brand più intelligenti adottano invece strategie collaborative, aiutando la aziende a mettersi “in regola”. I progetti sociali, ambientali e il chemical management sono le strade più battute, ma si sta imponendo piano piano anche la logica dei progetti integrati. Ciò che conta e che fa la differenza è l’approccio sistemico al rischio e alla sua gestione».
Per molti aspetti pratici, le aziende possono contare sulla tecnologia, che ha prodotto in questi anni vari strumenti e piattaforme informatiche preziose, per esempio, nella raccolta dati e nella gestione delle informazioni. Thela è una di queste – un sistema avanzatissimo messo a punto da Cleviria che permette di tracciare e monitorare tutta la catena di fornitura.

Primo Brachi, presidente del gruppo che porta il suo nome e “anima” di Brachi Testing Services, laboratorio leader in Italia nel controllo della qualità per l’industria della moda e dell’arredo, ha centrato il suo intervento sull’attenzione via via maggiore dedicata nel tempo alla pericolosità dei prodotti di consumo per l’ambiente e la salute della persona. «L’assunzione di responsabilità da parte di molti operatori del fashion si è tradotta nell’adozione di liste di sostanze chimiche a vario titolo vietate o contingentate perché pericolose», ha detto Primo Brachi. «Le RSL, acronimo di restricted subastances lists, tengono conto anche delle normative di sicurezza chimica in vigore nei vari paesi, indicando il metodo d’analisi necessario per determinare la quantità ammessa nel prodotto e/o nel processo di ogni singola sostanza chimica. Essendo impossibile, per ragioni di costi e di tempi, ricercare tutte le sostanze comprese nelle RSL, diventa fondamentale la valutazione del rischio chimico in rapporto alla tipologia di prodotto (quale tipo di fibra? quale tipo di pelle?), al processo di lavorazione cui è sottoposto, al paese di provenienza (i paesi più evoluti sono normalmente più attenti e dunque meno a rischio) e alla documentazione volontariamente fornita dal produttore/fornitore».
Da un punto di vista pratico, non ci sono regole certe perché la casistica è infinita. Di qui l’importanza dell’esperienza e la scelta di affidarsi a laboratori pluriaccreditati come Brachi Testing Services.

Graham Storrie ha parlato all’uditorio in rappresentanza di un noto marchio come Esprit, ma anche del tavolo Zero Discharge Hazardous Chemicals, di cui ha tracciato brevemente il cammino dalla sua costituzione nel 2011 a oggi. Working together è il titolo che forse meglio sintetizza il suo intervento, che vale non solo come manifesto di ZDHC, ma anche come incoraggiamento alle aziende a lavorare in squadra. «Sul fronte della sostenibilità – ha detto – abbiamo già raggiunto l’importante obiettivo di indurre le aziende a mettere da parte le gelosie e cercare di cambiare insieme le cose, adottando non solo un linguaggio comune, ma un database e una piattaforma condivisi. La prossima sfida è allargare ulteriormente la platea coinvolgendo anche le industrie chimiche, che sono parte attiva e cruciale dell’intero processo».

Andrea Bayer ne rappresenta una fra le più importanti a livello internazionale, la CHT di Bezema Group, chiamata a Firenze da 4sustainability anche per offrire ai partecipanti al convegno un esempio virtuoso. «CHT – ha affermato Bayer – condivide fino in fondo le logiche del tavolo ZDHC, investendo moltissimo nella salvaguardia dell’ambiente, nell’attenzione verso la sicurezza dei lavoratori e in un uso corretto dei prodotti. Siamo convinti, tuttavia, dell’urgenza di adottare strategie integrate, pensando alla sostenibilità anche in termini di gestione delle risorse e di risparmio energetico».

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