12 maggio 2014

Made In, Strasburgo approva

L'UE rende obbligatoria l'indicazione del paese d'origine sui prodotti

Il primo tempo della partita europea per il MADE IN si è conclusa a favore dell’Italia, che il 15 aprile è riuscita a portare a casa la proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti di consumo superando l’ostruzionismo tedesco.
Con 485 voti a favore, 130 contrari e 27 astensioni, il Parlamento Europeo ha chiesto infatti di superare l’attuale sistema volontario e rendere obbligatoria per fabbricanti e importatori l’indicazione sui prodotti del paese d’origine.
È l’epilogo di una lunga battaglia intrapresa fin dal 2005, quando l’Italia aveva sollecitato con forza un intervento normativo capace di offrire maggiori informazioni ai consumatori, rafforzando  anche la lotta alla contraffazione.
 L’opposizione della Germania e dell’area angloscandinava, tuttavia, hanno reso l’iter subito complicato e per ragioni evidenti. Se da un lato, per l’Italia, inserire l’origine del prodotto rappresenta un valore aggiunto, per la Germania il vantaggio è dubbio.

La relatrice sulla sicurezza dei prodotti, la danese Christel Schaldemose, ha definito il voto “un grande passo in avanti verso la trasparenza della catena di fornitura dei prodotti”, criticando tuttavia gli Stati membri per non essere stati capaci di arrivare a una posizione comune in Consiglio sul regolamento nel suo complesso. Grazie al voto del Parlamento, però, il negoziato dovrebbe avviarsi ora a una conclusone positiva.

“Il Consiglio deve solo prendere atto del voto del Parlamento e rispettarlo», ha detto Sergio Cofferati, vicepresidente della Commissione parlamentare per il mercato interno e la protezione dei consumatori. E considerando che a luglio comincia anche il semestre di presidenza italiana, la strada dovrebbe davvero in discesa.

Se tutto andrà come deve, l’etichetta MADE IN sarà utilizzata obbligatoriamente per tutti i prodotti non alimentari venduti nell’Unione, fatte salve alcune eccezioni come i medicinali. Secondo la proposta approvata a Strasburgo, i produttori potranno scegliere se mettere sull’etichetta la dicitura Made in EU oppure direttamente il nome del loro paese, un “ammorbidimento” che nulla toglie alla sostanza della decisione.
Un limite, semmai, è rappresentato dal fatto che per le merci prodotte fuori dall’Unione, il paese di origine debba considerarsi quello in cui è avvenuta “l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale”. Se una camicia è fatta in Bangladesh, per esempio, ma i bottoni sono cuciti in Italia come ultimo passaggio, il prodotto può essere etichettato Made in Italy.
Una vittoria senza “se” né “ma” va considerata invece la richiesta relativa alle sanzioni a carico delle imprese inadempienti, sanzioni che dovranno essere “proporzionate e dissuasive”, tenendo conto della gravità, della durata, del carattere intenzionale o ricorrente della violazione e della dimensione della società.

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